16.
Il testamento della verità
Valentine Gaillard scostò leggermente le tende per guardare in strada. Annette e Fabò erano vestiti di tutto punto, proprio come nei giorni delle odiate visite ai parenti. Questa volta, però, camminavano con aria entusiasta, accanto a un elegantissimo avvocato Janvier, con tanto di cappotto grigio delle grandi occasioni e cappello sulle ventitré. L’ex principe del foro era appena passato a prenderli per accompagnarli a un concerto pomeridiano.
— Non capisco... — sospirò la donna.
Pauline, la sua migliore amica, bevve un sorso di tè. — Oh, Valentine, hai la fortuna di avere dei figli che amano la musica classica e ti lamenti pure!
— Il problema è questo, Pauline... I miei figli non amano la musica classica! Quando metto un cd di Beethoven escono di casa di corsa.
— Si vede che l’avvocato Janvier, con il suo carisma, ha fatto cambiare loro idea.
Anche Valentine tornò al suo tè al bergamotto e ne bevve un sorso. — Sarà così — disse. Ma in cuor suo era sicura che quei tre stavano combinando qualcosa...
Janvier e i suoi “nipotini” erano attesi alle cinque in punto al palazzo della contessa Blumier. Non appena scesi in strada, lontani da orecchie indiscrete, i tre cominciarono a commentare la notizia del giorno, ampiamente riportata su tutti i quotidiani: Deloffre sarebbe stato rilasciato prima di sera!
— Vuol dire che abbiamo ragione noi — osservò Fabò sistemandosi il papillon color verde mela.
— Non so... Potrebbe essere come nei film: lo rilasciano per vedere se fa un passo falso — replicò Annette.
— O forse vuole semplicemente dire che il commissario Gaillard non è più così efficiente da quando è stato messo a stecchetto! — scherzò l’avvocato.
Non appena si misero in cammino, Annette e Fabò cominciarono a ripassare le nozioni di galateo impartite loro dall’avvocato.
— Ringraziare sempre.
— Anche se il tè è annacquato e i biscotti sono preistorici.
— Non ridere mai.
— Non sorridere mai.
— Insomma, non fare un tubo di niente, se non starsene seduti e ringraziare!
— Benissimo! — concluse l’avvocato. — Mi sembrate pronti a fare il vostro ingresso nell’alta società.
I tre detective si fecero una risata e si immersero nel flusso di folla che scendeva in metropolitana. Poco più tardi, sbucarono da un’uscita analoga e, dopo una breve passeggiata in una delle zone più esclusive di Parigi, si trovarono di fronte a una lussuosa portineria in rue de Rivoli. In perfetto orario per l’appuntamento.
L’avvocato si fece annunciare e, in capo a pochi istanti, lo strano trio fu invitato a salire agli appartamenti della contessina Blumier. Un maggiordomo in livrea accolse Janvier e i due giovani Gaillard. Fabò stampò uno sguardo incredulo in faccia all’uomo che prese in consegna i loro cappotti.
Annette gli rifilò una gomitata.
— Non si fissa la gente in quel modo! — sussurrò all’orecchio del fratello.
— Ma, scusa, hai visto quel tizio... avrà almeno duecentocinquant’anni! — si giustificò Fabò.
— La contessa vi attende nella sala da tè, vi prego di seguirmi — disse a quel punto il decrepito maggiordomo, con una voce di carta velina.
Dopo avere percorso un lungo corridoio, pieno zeppo di vecchi mobili dorati, ritratti di gente imparruccata e vasi orientali, il gruppetto raggiunse la sala da tè, dove ad accoglierli c’era la contessina Blumier, adagiata sopra un divano di raso giallino. Era una donna decisamente più magra e minuta della madre, con un tailleur color confetto e due occhiali a forma di ali di farfalla, assicurati a un filo di perle. Stringeva al petto un minuscolo chihuahua, inguainato in un cappottino dello stesso colore del suo abito.
L’avvocato Janvier eseguì un ossequioso inchino, immediatamente imitato da Annette e Fabò.
— Contessa, la ringrazio di averci voluto ricevere.
— Ma prego, avvocato! — disse la donna, con una voce acutissima. — Guardi, spero solo che lei non venga a portarmi brutte notizie, perché quanto a quelle ne ho già fin sopra i capelli. Perché, sa... viviamo in un mondo impazzito, dove non si capisce più niente... —. La donna si lanciò in un interminabile discorso, lamentandosi perlopiù della faccenda dell’eredità contesa. Era evidente che non le mancava la parlantina!
Non appena la contessina fece una pausa, l’avvocato Janvier ne approfittò per assumere un’espressione ispirata e lanciarsi in uno dei discorsi che avevano fatto di lui la famosa colomba bianca dei tribunali parigini.
— Le sue parole denotano una sensibilità e una saggezza non comuni, contessa Blumier. Ed è per questo, per aiutare grandi spiriti nobili come lei che, ora che sono in pensione, ho voluto fondare l’Associazione parigina contro i truffatori e i gaglioffi di ogni genere.
— Che idea subliiime! — si sdilinquì la Blumier.
— Non è che una goccia nell’oceano, contessa. Ma sarei davvero onorato di poterle offrire il mio sostegno in questa sua sacrosanta battaglia legale contro quel...
— Topo di fogna! — sibilò la contessa, in un tono che di nobile aveva assai poco.
Annette e Fabò, intanto, non scollavano gli occhi dall’avvocato Janvier, ammirandone la magistrale interpretazione da “paladino della nobiltà parigina”.
— Allora, spero che la contessa non abbia nulla in contrario se mi permetto di chiedere di visionare la copia del testamento che quel... ehm... topo di fogna le ha fatto avere.
— Ma è ooovvio che non ho nulla in contrario, avvocato. Volesse il cielo che lei e la sua associazione riusciste a stritolare quel maledetto Sartou!
Nell’udire quel nome, Annette e Fabò si scordarono in una frazione di secondo tutte le lezioni di galateo.
— COOOSA?!?! SARTOU?!?! — esclamarono all’unisono, con un garbo da curva calcistica. Janvier rivolse alla contessa un sorrisetto tirato.
— Voglia perdonare i miei nipotini, contessa. Sa, anche il nostro salumiere fa Sartou di cognome, una coincidenza...
— Non si preoccupi, avvocato... I suoi nipotini sono adoraaabili! — disse la contessa mentre nella stanza sopraggiungeva il vecchio maggiordomo, richiamato da una scampanellata.
La nobildonna gli ordinò di andare a prendere la copia del testamento che si trovava nel suo studio e riprese a parlare, come una valanga: — Avvocato Janvier, lei non sa che inferno da quando quel Sartou è entrato nella nostra vita! —. A quel punto, la Blumier sollevò per aria il cagnolino incappottato e proseguì, mentre il suo tono di voce arrivava ad altezze inumane. — Anche il povero Pujolette ha assorbito tutte queste vibrazioni negatiiiive! Si è ammalato e sono giorni che non mangia più il suo filettino!
— Un’autentica tragedia, contessa — commentò Janvier, riuscendo non si sa come a trattenere un sorriso.
Finalmente il maggiordomo ritornò, portando un vassoio d’argento sul quale era posato il testamento che aveva tolto l’appetito al povero Pujolette.
L’avvocato Janvier lo prese dal vassoio e cominciò a sfogliarlo con gesti frenetici. La contessina e i fratelli Gaillard piombarono in un silenzio teso e carico d’attesa.
— PARBLEU!! — esclamò l’ex principe del foro. Estratti in fretta e furia gli occhiali da lettura dal taschino, incollò la faccia all’ultima pagina del testamento.
Annette e Fabò capirono dalla sua espressione che c’erano grandi novità.
Talmente grandi che anche l’avvocato uscì dalla parte che aveva recitato fino a quel momento. — Annette, Fabò! Le firme! — gridò lasciando cadere a terra il testamento.
— Che hanno le firme?
— Sono false?
— Non credo che siano false... Ma sono le firme di Jacques Deloffre e Luc Ferblantier!
I fratelli Gaillard scattarono in piedi come molle. — Come è possibile?!
— Ma cooosa è possibile? Pujolette e io non capiamo! — protestò la Blumier, ormai ignorata da tutti.
L’avvocato Janvier si alzò in piedi e cominciò a camminare nervosamente per la stanza, sotto gli occhi allibiti della contessina.
— Insomma, che cavolo di storia è questa? — domandò Fabò, non riuscendo più a trattenersi.
— Aspettate... Aspettate... — disse Janvier, con i polpastrelli delle dita appoggiati alle tempie. — Ma certo! esplose finalmente, fermandosi di colpo in mezzo alla stanza. — 1971. Caso Dubonnard!
— Che c’entra questo Dubonnard? — chiese Annette esasperata.
— Fu un caso quasi identico a questo — spiegò Janvier. — Un antiquario pieno di debiti, Dubonnard, trovò due sempliciotti appena arrivati dalla campagna, estorse loro due firme con l’inganno e le usò per creare un falso testamento di un’ereditiera americana, che era morta mentre era in vacanza a Parigi!
— E come andò a finire? — chiese Fabò, con gli occhi fuori dalle orbite per l’eccitazione.
— Dubonnard fece fuori i due sempliciotti, perché non testimoniassero contro di lui, invalidando il test...
— Li fece fuori entrambi?! — fece Annette sbiancando.
— O santo cielo! Ma allora...
Fabò e l’avvocato Janvier fissarono la ragazza senza capire. Ma fu questione di un istante. L’inevitabile conclusione si affacciò anche alla loro mente.
Deloffre era in pericolo!